Il testo del provvedimento afferma che “si considerano necessari gli spostamenti per incontrare congiunti, purché venga rispettato il divieto di assembramento e il distanziamento interpersonale di
almeno un metro e vengano utilizzate protezioni delle vie respiratorie”.
Agli effetti della legge penale, i “prossimi congiunti” sono: gli ascendenti, i discendenti, il coniuge, la parte di un’unione civile tra persone dello stesso sesso, i fratelli, le sorelle, gli affini nello stesso grado, gli zii e i nipoti. Invece, l’art. 307 c.p. esclude dalla denominazione di prossimi congiunti gli affini, allorché sia  morto il coniuge e non vi sia prole.
Indipendentemente dalle definizioni che possono dare i vari codici. In ordine ai coniugi non c’è nessun dubbio, poiché sono congiunti per definizione.
Nella conferenza stampa, Conte ha poi parlato di genitori separati dai figli, e di nipoti separati dai nonni. Emerge dunque la necessità di soffermarsi sul concetto di “parentela” in cui rientrano tali
rapporti.
L’art. 74 c.c. definisce la parentela come il vincolo tra le persone che discendono da uno stesso stipite, sia nel caso in cui la filiazione è avvenuta all’interno del matrimonio, sia nel caso in cui è avvenuta al di fuori di esso, sia nel caso in cui il figlio è adottivo.

Il vincolo di parentela, a norma del codice civile, non sorge nei casi di adozione di persone maggiori di età, di cui agli articoli 291 e seguenti.
Inoltre, la parentela può essere in linea retta, quando intercorre tra persone di cui una discende dall’altra, e in linea collaterale quando, pur essendoci uno stipite comune, le persone non discendono l’una dall’altra.  Pertanto, sono parenti nonno e nipote, fratelli e sorelle, zii e nipoti, cugini e cugine.

La legge non riconosce il grado di parentela oltre il sesto grado. Accanto al vincolo di parentela, il codice civile all’art. 78 riconosce anche il vincolo di affinità che lega il coniuge con i parenti nell’altro coniuge; tale vincolo, nella linea e nel grado, rispecchia il vincolo di parentela che sussiste tra il coniuge e i suoi parenti.
Le parti di un’unione civile, ai sensi dell’art. 1, comma 20, della Legge 76/2016, sono da equipararsi ai coniugi sotto molti punti di vista. La norma, infatti, chiarisce che si applicano anche ad ognuna delle parti dell’unione civile le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e le disposizioni contenenti le parole “coniuge”, “coniugi” o termini equivalenti, ovunque ricorrono nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti nonché negli atti amministrativi e nei contratti collettivi.
Il codice civile non nomina gli affini per le unioni civili, pertanto via libera agli incontri tra i cugini, ma niente visite ai suoceri, nuore o figli dell’altro.

Oltre all’unione civile, la legge n. 76/2016 ha disciplinato le c.d. “convivenze”. In particolare, si intendono per “conviventi di fatto” due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile.
Non generando parentela o affinità, dunque, il problema è che tali soggetti (analogamente agli uniti civilmente) possano rischiare, salvo precisazioni, di non essere ricompresi nel novero dei congiunti.

Lo stesso, dunque, varrebbe in relazione a rapporti come quelli tra fidanzati, anche futuri sposi, o amici stretti. Sembrerebbe però che il Governo abbia chiarito che nel novero della parola congiunti, rientrino i parenti, affini, coniugi, conviventi e fidanzati purchè siano stabili.